domenica 17 aprile 2011

“La tua nonna mi raccontava…


Pensato a Santa Chiara nella Domenica delle Palme e dedicato al somarello dalle lunghe orecchie e gli occhi dolci che ci attendeva sul prato invaso dagli anemoni accanto alla stradina che scende lungo il fianco della collina del Getzemani. Prima creatura incontrata alle porte di Gerusalemme dai nostri passi pellegrini a due giorni dalla Settimana Santa e che, allora, mi fece gridare di gioia perché nulla di più potevo desiderare arrivando alla nostra meta, alla Città Santa e che ora ricordo come un dono del Cielo fatto alla mia piccola vita.

E con un grazie speciale a Giotto che mai ha dimenticato queste creature angeliche testimoni di una grande Storia.

"La tua nonna mi raccontava..."

La folla è immensa, si muove a ondate, mugghia come un mare in tempesta. Sono arrivati tutti nella piazza richiamati dall’evento di cui parleranno poi attorno alle tavole, nei mercati; nelle notti insonni. Spinti, scacciati a pedate, costretti in un angolo due somarelli, uno piccolo e uno già adulto. Stanno lì, a testa bassa, le lunghe orecchie morbide pendono rassegnate hanno il carico delle poche cose di chi è fuggito abbandonandoli, ancora legato sulle loro groppe grigie come foglie d’ ulivo in un vento primaverile.

Il piccolino si stringe al più grande, alla sua mamma, trema tutto e non osa guardare, non capisce che accade e, come tutti i cuccioli chiede a lei, alla sua mamma, di svelargli il senso delle cose.

“Mamma, ma non è Lui, quello che hai portato sulla tua groppa? Perché gli stanno facendo del male? Quel giorno erano tutti felici e ora lo vogliono morto?!...Perchè?”

Gli occhi della somarella sono tristi, troppe ne ha viste, troppi calci ha ricevuto sulla sua panciotta tonda ed è quasi infastidita dalle domande insistenti del suo piccolo perché anche lei non capisce, o capisce tutto ma non vorrebbe dovergli raccontare la triste storia degli umani, dei loro padroni che lei sa... bestie più di loro.

La folla si sta disperdendo, ha ottenuto quello che voleva, quello che è stato detto loro di volere. Solo qualche donna è ancora ferma lì, in mezzo alla piazza, stanno abbracciate, non sanno che fare, sono sole, gli amici sono fuggiti. Una di loro vede i somarelli addossati ad un muro, le teste basse la cavezza che pende dalla groppa del più grande. Si accosta, li accarezza e trascina via la più grande lungo la discesa della valle del Cedron, il piccolino cammina di lato obbediente, stanno andando verso quel prato alto, un po’ più su dell’Orto, coperto di anemoni rossi di un’improvvisa, breve primavera.

“La tua nonna mi raccontava…” in quel silenzio profumato di erbe odorose la somarella ha ritrovato la voce e in quel raglio sommesso c’è la storia di una vita, della Vita.

“La tua nonna mi raccontava di un gelido inverno, la stalla era pulita e accogliente e con altre bestiole stavano lì al calduccio dei loro fiati, l’una appoggiata all’altra.

Arrivarono stretti nei loro mantelli, lei era piccolina e giovanissima, aveva occhi di cielo e tremava per il freddo e la stanchezza, lui la abbracciava premuroso. Nonna diceva che erano belli; poveri, innamorati e belli, strani in una notte così. Lui la fece sdraiare sulla paglia che aveva radunato di lato e su cui aveva steso il mantello. Nonna si fece vicina, aveva visto la pancia tonda e piena di lei, ben sapeva che cosa voleva dire, un cucciolo stava per nascere…”
”Mamma perché mi racconti questa storia?”

“Aspetta, mi hai fatto una domanda poco fa e ora ti rispondo, abbi pazienza anch’io devo ricordare!”

Il somarello tace, continua a brucare e rizza le orecchi, gli piacciono le storie e la mamma ne sa tante.

“Venne al mondo dopo poco, era bello come tutti i bimbi, come tutti i cuccioli. La sua giovane mamma lo accarezzava come fanno tutte le mamme, lo ninnava, gli diceva paroline dolci, il papà era silenzioso, un po’ solo come tutti gli uomini di fronte al mistero di una nascita. La nonna e la signora mucca si fecero più vicine e si misero a soffiare i loro aliti caldi su di Lui, l’avrebbero leccato per lavarlo se avessero potuto osare, o forse lo fecero, non so. Poi arrivarono i pastori e fu festa, anche nonna ebbe biada buona e abbondante e da vecchia si ricordava ancora di quella notte improbabile di un inverno lontano.”

“E poi che è successo? Perché facevano festa? Chi era quel bambino?”

“La nonna non lo sapeva, sapeva solo che quella famiglia di umani era buona, che erano padroni gentili e che pochi giorni dopo le fu messa una coperta sulla groppa e che quella bambina-mamma salì su di lei mentre l’uomo la trascinava via, di gran fretta, per un lungo viaggio. Camminarono giorno e notte, fermandosi solo per riposare un poco, per mangiare qualche cosa. Mai le diedero un calcio, una sferzata e la bambina-madre le carezzava le lunghe orecchie fra una carezza e l’altra al fagottino che stringeva a sé. Tornarono dopo anni quando nonna era vecchia e camminava adagio, adagio seguendomi, io ero nata là, in Egitto e il viaggio di ritorno, con in groppa mamma e bambino, lo feci io.”

“Ma ancora non mi hai detto chi erano quegli umani gentili!”

Il somarello si sta spazientendo, la storia è troppo lunga e lui ha voglia di correre.

La mamma non gli dà più retta i suoi occhi liquidi guardano lontano, sta ricordando tanti passi sulle polverose strade della Galilea, della Samaria, della Giudea, perché lei era sempre stata con Lui. Era passata da padrone a padrone come tante volte accade a quelli della sua specie ma, per uno strano dolce destino, tutti i suoi padroni avevano poi seguito quel bambino divenuto grande. La sua mamma era morta e lei aveva avuto diversi figli fino a quest’ultimo, irrequieto e vivace come gli altri, nato nella sua vecchiaia, forse l’ultimo di una vita compiuta, fatta di lenti passi assieme ad un umano speciale che lei aveva imparato ad amare perché era buono, era diverso e di Lui ci si poteva fidare.
Catturando l’ultimo refolo di attenzione del piccolo, la somarella ora raglia forte e lui si ferma ad ascoltare.

“Ero così felice l’altro giorno! Mai avevo visto tanta gente festante così, gli umani parevano tutti buoni e belli, ti ricordi come si inchinavano al nostro passaggio?! Mai avevo ricevuto così tante carezze, tutti parevano essere felici di vederLo ed io mi sentivo importante perché Lo avevo in groppa…”
”Come era bello mamma! La città brillava, gli umani sorridevano e alla stalla mangiammo tante cose buone…mamma, ma perché ora Lo vogliono morto? Mamma, li ho riconosciuti sono gli stessi che cantavano al nostro passaggio? Mamma, perché gli umani fanno così? Dove sono finiti i suoi amici?”

La somarella ha chinato la testa, è dura spiegare ad un figlio che la folla innalza e che poi la stessa folla distrugge, anche lei non lo capisce il perché ma ha visto che è così, che gli umani fanno così e ora una lunga lenta lacrima sta scendendo dai suoi grandi e malinconici occhi.

La città oltre la valle non brilla più, nessuno canta, nessuno accarezza, la paura scivola nei vicoli, si arrampica sulle torri, crea mulinelli nelle piazze. Un silenzio fondo e senza colore incombe su ogni filo d’erba, su ogni pietra, su quell’anemone rosso che ha raccolto la lacrima.

“Bimbo mio, io non so, non ho risposte alle tue domande, so solo che i nostri padroni non capiscono l’amore, ne hanno paura, ne hanno invidia, fuggono da lui. Io ricordo le Sue carezze, io so che è l’amore che fa cantare, che riempie la Terra di colore e di bellezza, ma gli umani paiono dimenticarlo.

Io non capisco ma vedo che succede così, vedo gli umani dormire, li vedo seguire il volere di chi prima li incita in un modo e poi, poco dopo, nell’esatto contrario e loro seguono senza ribellarsi sicuri di fare la loro volontà e non quella di chi li ha resi schiavi. Li vedo tradire gli amici, sputare sul bene ricevuto, chiudersi nei loro palazzi, nel loro potere. Paiono non imparare mai e pretendono da noi bestiole che impariamo quando loro non imparano…mai. Vedo gli occhi disperati di chi un giorno è stato sovrano e che ora è nella polvere, calpestato e deriso. Vedo che non onorano i vinti, pronti ad innalzare chi, dopo poco, sarà a sua volta vinto.

Lui era diverso, io lo so, era troppo diverso per loro, i Suoi amici hanno paura, hanno perso la Sua legge, la paura non li fa più amare, solo le mamme, le donne-mamme stanno con Lui e mi sa che sarà sempre così, loro non imparano…

Piccolino mio gli umani sono strane creature, potrebbero essere felici, potrebbero vivere in un paradiso ma dormono e dimenticano…”

Il piccolino ora è silenzioso, si è stretto a lei, struscia il suo muso umido sul suo fianco, fa ondeggiare le orecchie per divertirla, per rincuorarla, per fare brillare di vita i grandi occhi della sua mamma che tanto a visto e che tanto sa.

Gerusalemme ai loro piedi è avvolta da una caligine opprimente, dietro quelle mura si sta compiendo la storia dell’umanità tutta, dei secoli a venire, dei giusti ammazzati, degli inermi torturati, dei potenti che il potere stesso ucciderà.

Due somarelli stanno soli sull’alto prato vicino ad un orto che la storia ricorderà.

Un campo di ulivi qualunque simbolo di tutto il disamore. Gli umani lo ricorderanno per poi, nuovamente, dimenticare e continuare a dormire, continuare ad uccidere i giusti, torturare gli inermi, lasciare soli gli amici, rendere la Terra un inferno perché hanno perso la Legge, la sola.

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