mercoledì 14 marzo 2012

AZAZEL...o della divisione e la...Rivoluzione del Giovedì Santo

Nome "dolcissimo" Azazel...con quel EL finale che ricorda tanto Michael e tutti gli angeli e arcangeli...ma è il nome del diavolo...oibò e in questo stupendo libro è anche di più, anzi, direi che è il nome molto più nobile della coscienza indivisa: bianca e nera. O Dio e allora la divisione? beh, leggete questo stupendo libro, scritto strepitosamente da un autore egiziano: Youssef Ziedan che, nella quarta di copertina viene definito:
"nato nel 1958, è un rinnomato studioso egiziano specializzato in studi arabi e musulmani. Direttore del Centro dei Manoscritti e del Museo della Biblioteca di Alessandria, nel 2011 ha pubblicato con Neri Pozza il romanzo Nabateo lo Scriba"
Questo, in forma di romanzo, racconta dei tempi di Cirillo di Alessandria (mannaggia la Chiesa lo chiama ancora santo!) un Vescovo massacratore e fanatico, quello che fece scorticare Ippazia e di Nestorio, altro vescovo di altra tempra...e di tutto quello che seguì...libro illuminante, come dicevo stupendamente scritto che non si vorrebbe che terminasse mai perchè la storia del monaco Ipa è, in qualche modo, la storia di un vero cristiano che vuole capire...aiutato dalla coscienza.
Proprio ieri una persona mi diceva che lo zio prete, quando la confessò per la Cresima le disse: "Il problema è che tu leggi tanto..." Il "peccato" è, in realtà che lo si dica o meno, il non fermarsi nella ricerca...il leggere perchè "meno sai e più accetti, meno ti fai domande, e più sei manovrabile..." Questo è un libro che apre la testa: l'edizione è Beat 2011
Nella prima pagina c'è una frase stupenda che riporto, è subito sotto alla dedica:
"Ognuno ha il proprio demone, anch'io ho il mio. Ma il mio, con l'aiuto di Dio, si è convertito..." Detto attribuito al Profeta Muhammad e tramandato in questa forma dall'Immam al-Bukhari

ma non è finita...questo bel libro l'ho finito di leggere in treno ieri sera e, oggi, mi sono rimessa a tradurre e, dopo il capitolo sulla corsa agli armamenti e il creare la comunità mondiale per la pace sono al capitolo sulla Chiesa Cristiana negli Stati Uniti...(notate che questo è un libro uscito in America nel 1987...fosse mai cambiato qualche cosa nel frattempo!!) che però inizia con qualche cosa che ci riguarda tutti e che "magicamente" si lega al libro di cui sopra, trascrivo qui questi paragrafi ancora da sistemare per cui è una traduzione ancora da limare...ma ci sta troppo bene con il resto per cui...:

LA RIVOLUZIONE DEL GIOVEDI’ SANTO

Da cristiano, io considero come il più importante giorno dell’anno non Pasqua, e nemmeno il giorno di Natale ma il Giovedì Santo.
Per il significato di questo giorno sono debitore ad una serie di conferenze: The Holy Thursaday Revolution della filosofa cristiana Beatrice Bruteau. In esse lei sottolineava che la più grande rivoluzione nella storia del genere umano si è compiuta nel “Maundy Thursday,” il Giovedì Santo, il giorno prima della crocefissione di Gesù.
Lei vede questo come una rivoluzione in due stadi: il primo stadio accadde quando Gesù lavò i piedi dei suoi discepoli perché fino a quel momento il punto focale di tutte le cose era stato quello della soprafazione dell’uomo sull’uomo e, quando l’uno era salito in cima all’altro, dello starci o del salire ancora più in alto. Ma qui accade che quest’uomo che era già in alto – che era un rabbi, un insegnante, un maestro – improvvisamente si abbassa fino al punto più basso ed inizia a lavare i piedi dei suoi seguaci. In quell’atto Gesù simbolicamente capovolge completamente l’ordine sociale e persino i suoi discepoli, non comprendendo che stava succedendo, sono orripilanti dal Suo comportamento.
La Bruteau poi fa notare che Gesù, dopo aver simbolicamente rovesciato l’intero ordine sociale, ci dà un nuovo ordine sociale nell’Ultima Cena, attraverso la forma simbolica della Comunione. Attraverso Gesù i primi cristiani scoprirono il segreto della comunità e sappiamo bene che fu così attraverso la storia dell’inizio della Chiesa. Ma, dato che noi abbiamo quasi perduto questo segreto, non riusciamo a comprendere il potere che un tempo esso ha avuto.
Nel suo libro The Secret of Love Keith Miller spiega come fu che i cristiani delle origini fossero degli evangelizzatori di così grande successo. Non fu per il loro carisma – non perché il messaggio cristiano fosse così appetibile ( è proprio il contrario, è la dottrina meno appetibile che ci sia) ma è perché avevano scoperto il segreto della comunità. E così, di solito, non dovevano muovere un dito per evangelizzare. Qualcuno che si fosse trovato a camminare nelle stradette secondarie di Corinto o di Efeso si sarebbe imbattuto in un gruppo di persone sedute insieme a parlare di una cosa assai strana, qualcosa che si riferiva ad un uomo ed ad un albero, ad una esecuzione e ad una tomba vuota, e quello di cui parlavano non aveva alcun senso per chi li osservava dall’esterno. Ma vi era qualche cosa nel modo in cui parlavano gli uni con gli altri, del modo in cui piangevano insieme, del modo con cui si guardavano in faccia, del modo con cui ridevano assieme, del modo con cui si toccavano gli uni gli altri che aveva uno strano fascino che attirava. Miller dice che emanavano il profumo dell’amore e così , l’estraneo, proseguiva il suo cammino fino alla fine del vicolo per poi sentirsi richiamato indietro verso questo piccolo gruppo, così come accade ad un ape attratta dal fiore. Lo straniero si sarebbe messo ad ascoltare ancora per poi andarsene nuovamente pensando: “Non ho la più pallida idea di che cosa sta gente stia parlando ma…” ritornandosene nuovamente indietro verso di loro “qualsiasi cosa sia, voglio averla anch’io, voglio esserne parte.”
Questa cosa avrebbe potuto sembrarmi puramente l’immaginazione di una autore romantico se non ne fossi io stesso stato testimone, se non avessi visto la stessa cosa accadere. Ho guidato gruppi di costruzione della comunità in alberghi “assolutamente sterili e anonimi” eppure gli impiegati alla reception o le barriste mi fermavano, o fermavano altri membri del gruppo dicendo: “Non so che state facendo la dentro quella stanza, ma smetto di lavorare alle tre, posso unirmi a voi?”
La Rivoluzione del Giovedì Santo cominciò ad essere abortita al tempo di Costantino, quando il cristianesimo divenne una religione legalizzata e, poco tempo dopo, questo aborto divenne virtualmente compiuto quando divenne la religione ufficiale; la religione di Stato. A quel punto essere cristiani divenne sicuro, la crisi era stata superata e, quando la crisi termina, la comunità di solito tende a scomparire. Così accadde che essendo da tempo passato il tempo dei martiri, la Cristianità iniziò a dissanguarsi e il "sangue" iniziò a sparire dalla Chiesa.
Quello che “disperatamente” abbiamo bisogno di capire nuovamente è che è pericoloso essere veri cristiani. Chiunque, la lei o il lui che prende il suo essere cristiano seriamente, realizzerà che la crocefissione non è qualche cosa accaduta ad un uomo duemila anni fa e che il martirio non è il fato che accadde ai suoi primi seguaci. Dovrebbe essere un rischio onnipresente di ogni cristiano. I cristiani dovrebbero aver bisogno, in un certo senso, di vivere pericolosamente se vogliono vivere secondo la loro fede perché il Tempo ha reso ciò apparente. Il Tempo oggi ci chiede di rischiare grosso per la pace e il combattere le forze colluse della corsa agli armamenti – i principati e i poteri di questo mondo – e ciò include veramente il rischio del martirio. Dal tempo di Costantino vi sono stati altri martiri cristiani e la cosa è accaduta più o meno occasionalmente, ma il nostro non è più il Tempo dell’anima coraggiosa e isolata che vive la sua fede e muore per essa. La crisi è troppo allargata. Oggi è il Tempo per una azione comune, di congregazione e per un rischio corporativo.
Un altro modo per mettere in parole la questione più cruciale dei nostri tempi è, perciò, se il rischio della corsa agli armamenti può riportarci ad una crisi della Cristianità e, di conseguenza, ricostruire l’eredità di comunità della Chiesa di Gesù.

Detto tutto ciò e, siccome io sono forse "esagerata" come dice Dalì e, come dice Dalla: "Quello che sono l'ho voluto io" permettetemi: io amo Roma ma in Piazza del Vaticano non ci riesco più ad andare...è più forte di me, mi viene il vomito...sorry per chi fa la Francigena...io amo i Benedetto Labre, i Filippo Neri...di Roma...e tutti quelli che come loro sono o sono stati santi e che il potere mai proclamerà tali...ognuno è libero...io avrei voluto essere a Corino o a Efeso nei tempi che dice Scott Peck e...spero in un giorno di rinascimento vero...in fondo siamo in una crisi, perchè non approfittarne e ritornare a Efeso e a Corinto, pre san Paolo?!

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