martedì 16 aprile 2013

il santo barbone...

tutti gli anni mi piace ricordare questo santo pellegrino "barbone" nel giorno in cui la Chiesa lo ricorda. Oltretutto mi ricorda il mio primo cammino a Monte Sant'Angelo quando, avendo in precedenza accettato di parlare del Cammino di Francesco a Roma, al Gemelli, lasciai Marisa a Sulmona e, fra treni e macchina, raggiunsi Roma per poi riprendere con lei il cammino dopo due giorni. Furono due giorni romani intensi e, fra l'altro, andai per la prima volta nella chiesa della "Subburra" dove San Benedetto Labre riposa sotto un altare. Me ne stavo lì vicino alla sua tomba quando passò un prete che avvicinai chiedendogli se c'era qualche cosa di scritto sul pellegrino-barbone e lui mi chiese: "Perchè ti interessa?" E io risposi: "Perchè sono una pellegrina anch'io" E lui correndo via rispose: "Allora sai già tutto, non c'è bisogno che tu legga, cammina!" Mi piacque questa risposta anche se poco ho in comune con Benedetto...poi, due anni fa, con Federica l'amica di Roma, andammo a visitare il luogo, la casa del macellaio dove lui morì e dove ora vivono delle suore molto gentili, luogo che ora è trasformato in piccolo santuario...
e poi lui mi ricorda il "mio  anziano pellegrino-barbone spagnolo" quello che ho ospitato a casa mia un paio di volte facendogli la lavatrice delle sue poche cose e facendolo ripartire tutto bellino e che è tanto che non vedo...chissà se è ancora al mondo? Il dolcissimo Adolfo Jesus che di "santo" ha molto...
Qualche volta quando nelle grandi stazioni il mio occhio si posa su un mucchio di stracci sotto cui dorme un barbone lo penso, penso al Benedetto santo e ad Adolfo e mi domando cosa quell'essere della strada abbia nel cuore...
qui sotto cosa racconta di lui Bargellini ma se andate a Roma, vicino a Via dei Serpenti, entrate in quella chiesa barocca come ce ne sono tantissime e se volete, andate a visitare dove Benedetto finì la sua vita...il "santo dei pidocchi" ha lasciato lì un aura di pace-pellegrina.

"In questo mondo siamo tutti pellegrini nella valle di lacrime: camminiamo sempre per la via sicura della Religione, in Fede, Speranza, Carità, Umiltà, Orazione, Pazienza e Mortificazione cristiana, per giungere alla nostra patria del Paradiso". Era questa una delle massime preferite di S. Benedetto Giuseppe Labre, che ben corrisponde alla sua testimonianza di vita. Dei 35 anni che visse, almeno 13 li passò da "pellegrino" sulla strada. A giusto titolo perciò lo si definì "il vagabondo di Dio" o anche "lo zingaro di Cristo", espressioni ben più tenere che non "santo dei pidocchi", come venne pure denominato.


Benedetto Giuseppe Labre nacque ad Amettes, presso Arras, il 26 marzo 1748, primo di 15 figli di modesti agricoltori. Fece qualche studio presso la scuola del villaggio e apprese i primi rudimenti del latino presso uno zio materno. Portato più alla vita contemplativa che al sacerdozio, sollecitò invano dai genitori il permesso di farsi trappista. Solo a diciotto anni poté fare richiesta d'ingresso alla certosa di S. Aldegonda, ma il parere dei monaci fu contrario. Stessa ripulsa ricevette dai cistercensi di Montagne in Normandia, dove giunse dopo aver percorso a piedi 60 leghe in pieno inverno. Solo sei settimane durò il suo soggiorno nella certosa di Neuville, e poco di più rimase nell'abbazia cistercense di Sept-Fons, di cui però avrebbe sempre portato la tunica e lo scapolare di novizio.
A 22 anni prese la grande decisione: il suo monastero sarebbe stato la strada, e più precisamente le strade di Roma. Nel sacco di povero pellegrino portava tutti i suoi tesori: il Nuovo Testamento, l'Imitazione di Cristo e il breviario che recitava ogni giorno; sul petto portava un crocifisso, al collo una corona e tra le mani un rosario. Mangiava appena un tozzo dì pane e qualche erba; non chiedeva la carità e, se la riceveva, si affrettava a renderne partecipi gli altri poveri, anche a rischio che il donatore, scorgendovi un gesto di scontentezza, facesse seguire alla moneta una gragnuola di bastonate (come effettivamente avvenne un giorno). Di notte riposava tra le rovine del Colosseo e le sue giornate le passava nella preghiera contemplativa e nei pellegrinaggi ai vari santuari: uno dei più cari al suo cuore fu quello di Loreto.
Morì logorato dagli stenti e dall'assoluta mancanza d'igiene il 16 aprile 1783, nel retrobottega del macellaio Zaccarelli, presso la chiesa di S. Maria dei Monti, in cui venne sepolto tra grande concorso di popolo. Venne canonizzato nel 1881 da Leone XIII.
Autore: Piero Bargellini



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